Che io mi ricordi, sono almeno tre anni che ho sonno e che ripeto che “voglio riposarmi”. L’ultima volta che l’ho affermato è stato ad agosto durante una riunione, prima delle ferie. Ero esausta e quelle parole sono uscite spontanee dalla mia bocca, mentre i miei occhi piangevano: v o g l i o r i p o s a r m i.
Negli ultimi anni, questa frase l’avrò ripetuta altre decine di volte, senza mai, però, ascoltarla davvero, tanto che oggi la mia amica e collega Federica scherza dicendo che solo un tumore poteva farmi fermare.
I tumori alla lingua vengono perlopiù a persone anziane, che hanno condotto uno stile di vita non propriamente sano, bevendo o fumando molto.
Poi ci sono io: tra pochi giorni 33 anni, anche se effettivamente di vissuto 85, quindi l’anzianità, metaforicamente, c’è.
La mia passione per vino e birra è altrettanto presente, ma non mi definirei una che beve molto (okey, a parte in qualche occasione! Ma qui stiamo parlando della vita quotidiana 😉 ). Sfumacchio da quando avevo 15 anni ma mai assiduamente e, in ogni caso, scherzo del destino, da un anno avevo pure smesso.
Senza stare a psicologizzare troppo (come mi ha consigliato la cara Nicoletta Cinotti) che adesso la priorità è la convalescenza, è naturale che qualche domanda mi sorga.
La risposta è una e tante, insieme.
La prima è quella scientifica del Dottor Piccin, che mi ha operata, ed è molto semplice: traumatismo continuo dovuto ad un dente. “Hai dei bei denti ma molto appuntiti!” Questo mio sympatico molare, unito al vizio che ho da quando sono nata (e che ora mi sono finalmente tolta) di “ciucciare la lingua” per addormentarmi, pare infatti che sia la causa del trauma che poi è degenerato in tumore.
Da qui, possiamo iniziare a spaziare con le analisi – spicciole – parallele.
“La lingua batte dove il dente duole”, come mi ha scritto un’amica in una lunga whatsappata all’alba di questa domenica. E simbolicamente la malattia è arrivata in un posto che si esprime bene da sé. La lingua è comunicazione con l’altro, è nutrizione, è amore.
Tutto azzerato, si ricomincia. Devo reimparare a parlare, a mangiare, a baciare.
Perché? Non posso dirlo con lucidità ad un mese dall’operazione, servirà ancora tempo per unire tutti i puntini di questa storia. Ma qualche indizio ce l’ho.
Le mie condizioni famigliari hanno fatto sì che io crescessi prestissimo, ho scelto prestissimo di dire no ad una gravidanza che era arrivata, mi sono sposata prestissimo, ho fondato una società prestissimo, ho divorziato prestissimo. O meglio, forse più che prestissimo, direi che è stato tutto velocissimo. “E cosa è rimasto indietro in tutta questa velocità?” chiede sempre la mia amica saggia della whatsappata sopra. “Pensaci.”
La risposta è che probabilmente sono rimasta indietro io. É rimasta indietro Silvia. Al di là del lavoro, al di là della famiglia, al di là dei partner, chi è Silvia e cosa vuole per lei?
Nicola (ndr: il mio compagno) mi aveva promesso che il 2018 sarebbe stato un anno entusiasmante. Adesso, quando mi dicono: “che bell’anno di merda che hai avuto, eh!?” non riesco a non pensare che non sia vero, ma taccio perché poi sembra di voler fare i “Pollyanna” felici a tutti i costi anche quando, eccheccazzo, la vita ti mette davvero alla prova. Ma non saremmo vivi e non saremmo qua se non fosse così, quindi no, posso affermarlo con cognizione di causa una volta per tutte: non è stato un anno di merda.
Vero, non è stato semplice, ma è stato intenso.
Vero, dopo 9 mesi andati molto meglio rispetto al 2017 (che già erano andati meglio rispetto al 2016) mi aspettavo un ultimo trimestre lavorativo di fuoco e fiamme, non certo di trascorrerlo a letto con una serie di appuntamenti annullati.
Ma è andata così, e ho tutte le intenzioni di capire cosa questa scalata dalla quinta alla prima voglia insegnarmi.
Sempre la Cinotti, mi ha scritto: “La medicina psicosomatica – che dice che ogni malattia ha anche una ragione psicosomatica – non può essere un altro dei modi per sentirsi in colpa. Viviamo in quotidiano contatto con allergeni, oncogeni e cause varie di malattia. Ci ammaliamo perché siamo vivi. Poi, certamente, c’è anche una componente psicologica in ogni malattia (e in ogni convalescenza) e possono fare la differenza.”
Io, per ora, ho capito che:
Ecco, questo voleva essere anche un (in)solito post di fine anno, di quelli dove si fa il bilancio su ciò che è stato e le previsioni su ciò che sarà. Queste ultime non riesco ancora a farle, ma è certo che cambieranno, tanto per cambiare (e scusate il gioco di parole) alcune cose. Di sicuro continuerò l’esercizio, iniziato l’estate scorsa, di togliere – anziché aggiungere- dalla to-do list…ad eccezione di una cosa. Quella sì che la aggiungerò: io mi riposerò.
Ho scattato la foto di copertina di questo articolo ad agosto in Calabria e poi l’ho pubblicata sul mio account Instagram con la descrizione sotto:
Il giorno dopo torniamo in spiaggia e Nicola si ferma a salutare un signore. Me lo presenta, ci mettiamo a chiacchierare e quando racconta della sua canoa capisco che era il soggetto che avevo immortalato nella foto del giorno precedente. E di cosa parliamo? Della sua vita, ma nella sostanza emerge ciò che avevo scritto in quel post. Ci racconta che dopo aver dedicato la sua esistenza ad un lavoro che odiava, quando aveva finalmente ottenuto la pensione, come premio è stato aperto in due e operato al cuore. “Vivete in modo semplice, ragazzi. Che alla fine ti rendi conto che per essere felici basta veramente poco.” Amen.
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